Intervista: Antonio Casadei

L’indispensabile ruolo della stomaterapia

Antonio Casadei infermiere di lungo corso, dal 2011 è stomaterapista presso il reparto di chirurgia generale dell’ospedale San Filippo Neri di Roma (ASL RM1).
Formatore di stomaterapisti alla Sapienza Università di Roma, entra in ALSI come volontario per l’assistenza diretta agli stomizzati non autonomi, acquisendo preziose esperienze relazionali e di applicazione pratica extra ospedaliera. Dal 2022 è presidente di ALSI OdV.

Nel vasto universo dell’incontinenza, gli stomizzati risentono di particolari problematiche legate alla relazione tra chirurgia e successiva vita quotidiana. Lo stomaterapista come giunto armonico è però una figura abbastanza sfumata un po’ in tutta Italia ma con qualche eccezione: nel Lazio come siamo messi?

Premettendo che lo stomaterapista in Italia ha un diverso peso in ogni regione, che in ogni regione il portatore di stomia ha una configurazione di servizi di assistenza diversi, nel Lazio la situazione ha un ulteriore diversificazione in ogni ASL. L’Italia degli stomizzati e degli stomaterapisti non ha ancora avuto un Garibaldi.
Nelle cinque province laziali, il panorama è particolarmente frastagliato, tra picchi di eccellenza ed una media complessiva di servizio tendente al “sufficiente scarso”, anche se nel dopo Covid-19 abbiamo riscontrato alcune riorganizzazioni territoriali interessanti. Manca, a fronte di un bacino di utenza molto consistente, un indirizzo strategico deciso, moderno, vocato all’efficienza e all’ascolto dei problemi: senza andare lontano, basterebbe copiare la Gran Bretagna.
Non mancano segnali positivi, come la giusta collaborazione tra la Regione Lazio, il sistema sanitario locale e le associazioni di malati/pazienti/utenti, attraverso la costituzione di una Rete Oncologica, sistema teso al miglioramento di meccanismi funzionali e relazionali. ALSI partecipa per quanto riguarda le problematiche del colon-retto, principale causa di stomie.

Mi diceva che ALSI OdV ha faticato non poco a creare un elenco attendibile degli ambulatori pubblici di stomaterapia nel Lazio. Come è possibile una così marcata sfilacciatura anche tra voi professionisti del settore e come si può “fare sistema”?

L’incerta collocazione normativa della figura tecnica dello stomaterapista è la base di diversi problemi, tra i quali ritrosia ed una certa approssimazione nella creazione di specifici ambulatori da parte di ASL e direzioni sanitarie e, non ultimo, una scarsa coesione di gruppo tra colleghi stomaterapisti.
Come ALSI stiamo imbastendo un piano per superare quella che lei chiama sfilacciatura, perché se manca comunanza d’intenti tra noi professionisti, non andiamo avanti né noi, né i portatori di stomie, né gli incontinenti della nostra regione.
Nuovi corsi di formazione specialistica mirata per infermieri e studenti universitari, sono previsti per il 2025: una regione con quasi 6 MIL di cittadini (e di passaggio 50 MIL di turisti) e oltre 600.000 utenti tra incontinenti e stomizzati, non può far affidamento su una cinquantina di stomaterapisti.

Sempre in ambito formativo, ritiene che il maggiore e più puntuale coinvolgimento di familiari e congiunti, i cosiddetti caregiver, debba essere messo in un ipotetico paniere di un’ideale offerta formativa pubblica o privata che sia?

Formare gli operatori socio sanitari (OSS) in stomaterapia è fondamentale per i reparti ospedalieri ma soprattutto per l’assistenza sul territorio. Come abbiamo visto c’è un discreto deficit sia di risorse che di visione.
La figura intermedia del caregiver, ove possibile, è spesso coinvolta: ogni familiare di paziente/utente non autosufficiente può dimostrarsi, se disponibile e capace, un validissimo sostegno operativo anche nel feedback. Il passaggio in informazioni dallo stomaterapista al caregiver è un punto nevralgico ed occorre investirci di più ma al momento non è così.
Anche la sempre più ampia partecipazione familiare del/la badante, richiederebbe una specifica attività didattica. Come ALSI ci stiamo lavorando volontaristicamente con Upter ed altre Università.

Nell’ideale sistema formativo, non abbiamo menzionato i chirurghi, che sono invece il perno fondamentale. Anche a loro dovrebbero essere somministrati corsi di formazione per rendere più empatico e proficuo il rapporto coi pazienti/utenti?

Domanda spinosa… L’empatia è, per un infermiere, la base su cui poggia la costruzione delle proprie conoscenze tecniche. L’azione della medicina sui corpi è mediata, indotta e tradotta dal sistema infermieristico che ha una formazione relazionale più intensa ed profonda col paziente/utente. Se quindi la domanda generale è “i medici dovrebbero imparare a relazionarsi maggiormente coi pazienti/utenti” la risposta è senza alcun dubbio sì, dovrebbero dedicare molto più tempo ed energie ad un aspetto che considerano, sbagliando, secondario.
Ovviamente non tutti i medici sono arroccati su questa visione difensiva autocentrante ma una buona parte, purtroppo, sì ed è un bel problema per tutti, anche per loro, che ottengono feedback falsati da un rapporto squilibrato.

Se avesse la bacchetta magica, cosa vorrebbe trovare domani mattina nel sistema sanitario nazionale in relazione a stomia e incontinenza?

Un registro centralizzato progettato per gli specifici profili di stomizzati e incontinenti, uno strumento anche epidemiologico ma soprattutto guida storica ad un’assistenza mirata. Spesso capitano soggetti da altre storie o strutture, magari da altre città, e ci troviamo a dover intervenire ricostruendo per ipotesi un quadro che con un registro unico sarebbe invece almeno lineare.
Ritenendo la socialità elemento fondamentale nella vita, la bacchetta magica per riunire tutti i colleghi stomaterapisti del Lazio, perché siamo tutto sommato pochi ma ancor più isolati e solitari nel nostro agire anche politico. Vorrei veder realizzata l’unione degli stomaterapisti.
Un altro sogno, la revisione degli ambiti di prescrizione infermieristica come in altri Paesi europei, dove l’infermiere prescrittore è prassi consolidata per le stomie. Attualmente, lo stomaterapista gestisce nel concreto il rinnovo dei piani terapeutici annuali ma pur essendo l’unico soggetto tecnico a poter valutare coerentemente la prescrizione rispetto alle esigenze dell’utente, deve invece farla sottoscrivere al chirurgo di riferimento aziendale, che magari il soggetto non lo ha mai visto o è stato suo paziente molti anni prima.
Agganciato a questo punto, sempre in ambito burocratico, occorrerebbe riformulare affinandole le codifiche di interventi e visite ad oggi molto incerte.